martedì 8 maggio 2012

I hate you, Desenova

Cosa non si fa pur di non lavorare? Si rimane imbambolati dalla nuova interfaccia del lato utente di Blogger, ad esempio. Oppure si rimane indecisi se mandare a capo il periodo o continuare nello stesso paragrafo. Come se fossi sempre stata una cifra in grammatica.
Si bevono litri di caffé. Si rimane a letto. Ci si dimentica della lezioni, perché anche il subconscio fa la sua parte. Ci si ritira in continuazione. Si pensa ad altro. Si mangiano stagioni intere di serie animate in tre giorni. Si ciondola per casa facendo finta di mettere in ordine qualcosa. Si guarda il vuoto. Si aspetta. Si piagnucola pensando a problemi inutili. Ci si concentra sui dolori fisici. Ci si sente incapaci e inutili. Ci si sente stupidi. Si scrive.
Si rincomincia a scrivere per chiarire le idee, per agitare il macete a destra e manca, bestemmiando. Urlando.
Si sbuffa, e ci si arrende.
Odio questi cicli, queste ripetizioni senza senso degli stessi identici errori, mese dopo mese, anno dopo anno. C'è sempre quella forza oscura che ti costringe a rivivere questi problemi irritanti. Perché poi, a che serve?
Problemi che mi creo da sola.
Cosa stai combinando, Desdenova?
Io sto male, come al solito. Esco con gli amici e non mi diverto più di tanto. Sto male, e non mi serve a nulla ricordarmi le parole dei medici.
Guardo al playlist dell'iPod e mi annoia pure quella.
Guardo i miei compagni di classe e mi indispettiscono, a più spesso mi passano di fronte indifferenti.
Guardo gli insegnanti e a volte mi irritiano.
Guardo l'ora e non capisco perché debba scorrere così veloce.
Mi guardo allo specchio e penso al fatto che forse sto ricadendo nel vecchio problema delle medie.
Muovo il collo e sento dolore muscolare. Troppo tesa a causa della caffeina. Sbatto le palpebre e mi fanno male gli occhi.
Guardo i libri sul tavolo e penso alla mia mancata autosufficienza organizzativa.
Penso alla mia mente e non capisco perché si spenga così di frequente.
L'ambiente, per quante volte possa provare a cambiarlo, è condizionato dalla mia malattia delle ossa, e una cosa che ti porti dentro al porti sempre dietro e causa sempre qualcosa di spiacevole.
So che posso ma non faccio, e qui ricasco.
È probabile che passi troppo tempo a guardare cosa succede nel mondo: un po' come entrare in un museo e tenere sempre il capo sollevato per ammirare le opere d'arte, col rischio di rimanere incastrati in quella posizione, con i muscoli intrizziti, irrigiditi dalla posizione, incapaci poi di abbassare il capo quando lo spettatore vuole diventare creatore e dovrebbe abbassare lo sguardo per osservare il foglio e la sua mano.
Odino si metteva a dormire prima di mettersi a lavoro. Gli Hashasshin si tiravano di oppio. Poi c'è chi si guarda allo specchio, si sforza di sorridere e si ripete litanie di autoconvincimento. C'è chi mangia fino a scoppiare e chi si fa una sega. Chi, come me, vorrebbe una sedia nuova.
No, giuro, odio al mia sedia. Non esiste nulla di più scomodo.
No, sono bloccata. Come si sblocca una persona? Come si fa a riiniziare? È una domanda che mi pongo ogni volta che tocco questo blog.
"Chiedi aiuto." Ti dicono solamente. E chi ti dovrebbe aiutare ti dice "Non c'è cura."
Maledetti bastardi.
Quella che brucia all'inferno, però, sono io. E forse mi piace.

domenica 15 gennaio 2012

Go with the flow - Queen of the stone age

Il fatto che il link al suo profilo continuo a comparirmi sulla mia bacheca personale di FB mi scoccia un tantino. Film come Serendipity eliminano la concezione scientifica nella tua vita, che ti eri imposta con tanta fatica. Vedi che capita, ci speri, e poi non funziona. Forse quella legge è valida se il processo risulta essere l'esatto contrario.
Abbandonarlo forse è stata la scelta giusta: lui che ti vuole cercare, poi con ti contatta, poi lo contatti tu e infine è tutto fumo senza arrosto. Odio le promesse mancate. Perché sono una costante della mia vita, solo quando vengono scaturite dalle persone più importanti -o che dovrebbero esserlo- della mia vita.
L'invidia è comunque sul legame, non su di lui. Non è la persona di cui ho bisogno, mentre Desdenova mi riempie il cervello come un cancro.
Ho avuto l'istinto di sperarci, forse, come sempre, mi sono mossa male sulla scacchiera e ho perso tutte le possibilità che avevo. Forse non sono fatta per i sentimenti comuni, e non li capisco davvero; questo spiegherebbe perché non riesco neppure a realizzare dei personaggi coerenti e plausibili a livello psicologico.
È un dolore difficile da spiegare, perché, forse, non esiste davvero.

lunedì 9 gennaio 2012

Esercitazione. Errori inclusi


Scrivere scrivere scrivere. Ho bisogno di un'idea. I need a case. Cosa posso trovare d'interessante? Un uomo. Un suonatore di chitarra. Già sentito? Non lo so. Magari trova i manoscritti di un cd e incomincia a suonarli per strada. Lo inseguono. È musica maledetta, risveglia i morti. Umh. È forse n pelo esagerato? Devo abituarmi alla tastiera. Sarebbe divertente imparare a diventare ambidestra e a scrivere con tutte e dieci le dita. No?
Idea. Desiderio: qual'è il desiderio del protagonista? Poter riacquistare la propria vecchia casa. No troppo semplice. Cosa vuole fare davvero? Coi sentimenti sono proprio negata. Non so cosa far volere ai miei personaggi. Gli do tutto, perfino ciò che è scontato, ma ciò che li rende umani mi scivola sempre tra le dita. Devo levare la bustina del te dall'acqua bollente.
Bugie. Quante bugie possono essere raccontate in una storia per ingannare lo spettatore?
Ho aspettato fino all'ltimo per cercare un'idea e alla fine non è arrivata. Cosa devo fare per creare una buona storia? Davvero tutti possono avere una buona storia da raccontare? E se non fosse così?
Magari la musica costringe le persone a diventare terribilmente sincere, ed era tutto un esperimento del governo.
No, ora è palesemente esagerato.
Cosa potrebbe rubare per strada, un oggetto dimenticato da qualcuno di spaventato? Pensapensapensapensa.
Raccoglie un cappello: dentro è presente una carta con chip che apre una cassetta di sicurezza. Il contenuto dei nastri sono magari segreti militari. o qualcosa che la mafia locale vuole. Qualcosa di particolare. Nella cassetta è contenuta una pennina usb crittata contenente file e studi su un virus influenzale artificiale. La notizia è quindi un poco grossa. Una nota casa farmaceutica escogita il classico trucco dell'influenza pilotata per vendere il proprio prodotto, ovvero un vaccino ancora in fase sperimentale.
Quindi il cappello viene raccolto in una stazione della metro: il vagabondo ha freddo e vuole coprirsi la testa, fuori nevica. Appena afferra il cappello due uomini inseguono il ragazzo seduto di fronte al trolley - sopra c'era il cappello.
Ma il bisogno inconscio del protagonista? Qual'è il suo bisogno inconscio? Trovare una casa? Suonare una bella canzone? Forse comporne una. Suonare per un pubblico vero. Il suo bisogno inconscio è trovarsi dentro un locale per suonare liberamente di fronte a persone che vogliono ascoltare la sua musica. Magari per sbaglio qualcuno lo registra e diventa famoso in qualche maniera. Potrebbe forse divenire famoso grazie ad un video virale. no. Forse il ragazzo del cappello. no. Lui vorrebbe suonare. Alla fine suonerà in un parco e piano piano le persone si avvicineranno.
Il cappello era un segno di riconoscimento: alla metro lo ferma un uomo che gli chiede di seguirlo, segue discussione e litigio tra i due. L'uomo riceve un messaggio, legge e tenta di prendere il cappello al volo. Il barbone allora lo rivuole indietro: si accordano, il barbone seguirà il tipo fino a che non riavrà il suo cappello. Entrano in auto, al volante c'è una donna. Arrivano in un laboratorio, la donna prende il cappello e si chiede cosa farne. Sanno quello che c'è dentro la pennina ma non sanno dov'è la pennina, n'è che i dati sono dentro una pennina. Passa un gionro: costringono in barbone a lavarsi e a vestirsi. Il giorno dopo soo di nuovo in viaggio per raggiungere un garage in una città. La donna sa che sono pedinati. Si dividono. Il barbone viene acciuffato e pestato in un bagno: ora il barbone vuole uscire dalla situazione ma l'uomo gli risponde che non ha senso, lo hanno visto in faccia, sanno che è in mezzo alla situazione e se vuole sopravvivere è meglio che stia con loro. Raggiungono un garage. Dentro un ragazzo in sedia a rotelle, tipica aria da nerd, sa dove cercare: tira fuori la pennina e incomincia a studiarla. Tira fuori qualche ipotesi e azzarda una settimana di lavoro. Il gruppo decide di accamparsi nelle vicinanze del garage: è il momento di fare conoscenza: il barbone tenta di fare qualche domanda, di chiedere cosa facciano e perché vogliano la pennina, cosa contiene. I due rispondo in maniera evasiva. È l'ultimo giorno di lavoro per l'hacker, ma gli operativi di sicurezza dell'industria farmaceutica li ha trovati. L'uomo e la donna vengono presi in custoria insieme al barbone. L ragazzino è al sicuro dentro il garage. Vengono condotti in un vincolo, isolato dalle strade principali. Da una berlina tirata a lucido esce un uomo distinto, completo giacca e cravatta. Si presenta. È il vice CEO della compagnia: sa chi sono l'uomo ela donna, due blogger anonimi che pubblicano notizie riservate online, ricercati dalle multinazionali perché hanno violato molti segreti aziendali, e vorrebbero toglierli dalla circolazione in un modo o nell'altro. Il barbone si arrabbia, è stufo, lui vive ai margini della società e non sa nulla di notizie pubblicate online. Alla fine, vista la resistenza dei tre, le guardie tirano fuori le pistole da sotto la giacca. Il barbone, ex militare, dopo un po' di tempo, disarma il suo avversario, raccoglie la pistola e la punta addosso al vice amministratore delegato. il vice CEO finge una certa non chalanche, ma capisce che lui non ne sa molto, e pensa che, in cambio di un lauto pagamento potrebbe tenere la bocca chiusa. Allorché il barbone risponde che non interessato. In cambio dell'incolumità dei due non farà accenno a quanto accaduto, e per sostenere la sua proposta ricorda che, essendo un civile senza lavoro, casa o soldi, nessuno lo ascolterebbe specialmente senza prove. Prove che ora non hanno neppure i due blogger (gli hanno sequestrato l'auto, di conseguenza i loro bagagli, unico portatile rimaneggiato dal ragazzino, mezzo di comunicazione sicuro per loro, contenente tutti i loro file). Il vice ceo concede di liberare solo uno dei due giornalisti. Litigano, e alla fine è l'uomo che rimane: la ragazza va col barbone armato, e l'uomo rimane in custodia per un mese. Promettono di trattarlo bene: altrimenti la donna afferma che si vendicherà, costi quel che costi.
Si allontanano, asicurandosi che non siano più presenti nei paraggi gli uomini dell'industria, e cautamente ritornano al garage. Il giorno dopo nel web rimbalza la notizia con tanto di prove della casa farmaceutica (il ragazzino prima non sapeva come decifrare il codice, la chiave era nella marca del cappello, nell'etichetta, e nel nome della cartella dei file). Il barbone non è più coi due blogger, in continuo spostamento per evitare di essere beccati e fatti fuori. Torna alla sua vita di senzatetto, chitarra in mano suona nel parco, soddisfatto del suo spettacolo.

giovedì 5 gennaio 2012

Ritorno

Cosa significa essere determinati? Cosa vuol dire metterci dentro tutta l'energia possibile? Come si inizia?
Un persona che vorrebbe farcela dovrebbe farsi queste domande.
Ci sono periodi, lungo il percorso, che mi bloccano non solo fisicamente ma anche mentalmente. Come se l'animale dentro il mio cervello non avesse più voglia di star dietro alle necessità che mi aiuteranno a raggiungere un modo per soddisfare i miei bisogni.
Guardo le luci e rimango imbambolata. Non so come muovere il manichino per costruire una storia richiesta un mese fa. Non so come muovere le dita per costruire una nuova forma adatta ad una sintesi che devo ricreare, ma che secondo il resto del mondo -eccetto il richiedente- era ottima la precedente. E sto qui a confondere le parole coi pensieri senza costruire nulla di coerente.
Cosa ci vuole per concentrarsi? Tranquillità? Una scaletta delle cose da fare? Un premio? L'assenza di problemi? Abitudine?
Incomincio a soffrire, forse, della stessa sindrome di cui soffriva mio padre. Non so se sia la mia classica malattia dello specchio, o se sia un fattore genetico, ma questo lasciar le cose lungo le sponde, dopo un po', diviene quasi cancerogeno e blocca il respiro. E ti senti piagnucolare dentro come un infante, come un idiota. E urli contro la tua immagine allo specchio chiedendoti perché, pur trovando il problema, non riesci a risolverlo.
E allora forse comprendi che non ha capito cosa non va in te. Cosa c'è di sbagliato, quale ingranaggio manca. Capisci che non è più tempo per sanguinare, che hai prosciugato abbastanza il carburante, e che vorresti fare il pieno. Ma quelle due settimane di dormiveglia non sono bastate. Continui a guardare la serranda, ora abbassata e digerisci a cioccolata con insistenza, anche se il tuo stomaco, pur andando a brodino e carne bollita negli ultimi giorni, per lo stress mentale non si sente adatto ad un compito così gravoso.